Separazione giudiziale o consensuale? La storia della piccola Stefania




Succede spesso, nella nostra pratica quotidiana di divorzisti, di ritrovarci a caldeggiare la soluzione della separazione consensuale rispetto a quella giudiziale; e non sempre è facile convincere il nostro cliente (uomo o donna che sia) che questa sia senza ombra di dubbio la soluzione da preferire.

Torna utile, in questi casi, illustrare ai nostri clienti qualche esempio concreto che chiarisca meglio i nostri timori.

Nel caso interessasse anche i (non pochi) visitatori del nostro sito, racconterò anche a loro il caso della piccola Stefania (il suo vero nome, l’avrete intuito, non è certo questo).

Tranquilli, non è una storia tragica: ma non mi sembra abbia un lieto fine.

Si era rivolta a noi la sua mamma, giunta alla determinazione di volersi separare; le spiegammo il da farsi e, ottenuto il suo consenso, scrivemmo al marito perché aderisse a tale volontà e discutesse (assistito da un suo legale di fiducia) le condizioni concrete di un accordo che portasse alla separazione consensuale.

Nel caso non lo sappiate, con la separazione consensuale tutto si risolve in un’unica udienza in Tribunale, nell’arco (in media) di tre/quattro mesi dalla presentazione del ricorso.

E quasi sempre, se l’avvocato ha fatto un buon lavoro, a essere accolte dal Tribunale sono proprio le condizioni proposte dai coniugi, quelle che meglio rispondono alle esigenze e ai bisogni concreti di quella famiglia.

Come a volte accade, il marito (ma il discorso si verifica anche a parti invertite, sia chiaro) non volle aderire a tale invito, e costrinse così la moglie a dover procedere con la separazione giudiziale; che è un vero e proprio processo, destinato a durare qualche anno e a costare assai di più di una consensuale, non solo in termini di spese legali ma anche -e soprattutto- sul piano personale, emotivo.

La piccola Stefania si ritrovò dunque, come purtroppo spesso accade, al centro della contesa processuale tra i genitori; per ben quattro anni noi avvocati discutemmo e disputammo (in aula e fuori) su quale fosse il genitore più adatto a gestire la piccola, su chi dovesse restare nella casa coniugale e chi dovesse uscirne etc.; fu addirittura richiesta una perizia psicologica sulla piccola, che a dire del padre manifestava un disagio profondo (poi rivelatosi inesistente); il che non vuol dire che non soffrisse parecchio, per tutto quel periodo, in ragione dell’accesa conflittualità tra i suoi genitori.

Giunse infine il momento della decisione; noi avvocati depositammo i nostri vibranti atti conclusionali e il Tribunale trattenne la causa per pronunciare la sentenza.

Per lunghi mesi attendemmo la pubblicazione del provvedimento; l’attendeva soprattutto la mamma da noi assistita, con cui viveva (fino a nuovo ordine) la piccola Stefania.
Personalmente nutrivo (ma non lo dissi alla signora) concrete speranze di ottenere una decisione favorevole.

Stefania nel frattempo compiva dieci anni.

Di lì a poco la sentenza uscì; e avemmo un’amara sorpresa.

“Ha vinto il padre”, avrete pensato voi.

E avreste sbagliato, perché il padre fu ugualmente sorpreso dal contenuto della sentenza.

“Allora l’hanno affidata ai servizi sociali!” penserete a questo punto; a volte si sente di queste decisioni che…

Nemmeno questo.

Semplicemente, gli sbigottiti avvocati (e i coniugi ancor più sbigottiti) lessero nella sentenza che, vista la raggiunta maggiore età di Stefania, non c’era più necessità di stabilire a chi spettasse di avere in affidamento la figlia, ormai grande.

Stefania, maggiorenne per sentenza.

Quattro anni di causa, di ansie, liti e spese per ottenere (non una sentenza in/giusta ma) una sentenza del tutto inservibile.

Un clamoroso errore; con tutta evidenza, si trattava di un altro caso esaminato sempre da quei giudici e il cui testo s’era sovrapposto a quello della nostra sentenza.

Unico rimedio: l’appello.

Ovvero un altro grado completo di giudizio, destinato a durare (almeno) altri cinque anni.
E a raddoppiare le spese, le ansie e i litigi del primo grado.

Questa, in breve, la storia. I riferimenti sono volutamente vaghi, perché si tratta di un caso vero.

E continuo a raccontarla perché mi sembra -voi che ne dite?- un buon argomento a favore della separazione consensuale.

Ha quarant’anni, è sovrappeso e ha parecchi problemi di salute. Buon compleanno, divorzio.

Compie oggi quarant’anni.

Ma non è uno splendido quarantenne; è affaticato, sovrappeso e con parecchi problemi di salute.

E’ l’istituto del divorzio, introdotto appunto quarant’anni fa dalla gloriosa legge “Fortuna-Baslini”, la n.898 del primo dicembre 1970.

Una legge benemerita, che ha permesso di liberare centinaia di migliaia di persone da vite infelici prima senza sbocco; ma che soffre, nell’applicazione concreta di ogni giorno, le pesantezze di un sistema giudiziario al collasso, in cui le sofferenze e le aspettative del coniuge e ancor di più del genitore non possono trovare la giusta attenzione.

Leggo che un collega matrimonialista sta ultimando il suo libro “27 minuti”, il cui titolo evidenzia la durata media della (importantissima) prima udienza, nella quale il presidente pronuncia i primi incisivi provvedimenti sulla casa, i figli, gli assegni.

E’ un dato già triste; ma la nostra esperienza parla di medie addirittura inferiori, direi non superiori ai venti minuti; e in quel ristretto lasso di tempo si ascolta prima l’uno poi l’altro coniuge e infine si sentono entrambi insieme (avvocati compresi), con esclusione di qualsiasi possibilità di serio approfondimento e totale affidamento al fiuto e al buon senso del magistrato che ci è toccato in sorte (in genere si tratta di persone assai accorte e d’esperienza; ma non possono essere anche degl’indovini).

Mancano -come sempre, quando si parla della giustizia civile- i mezzi tecnici, le strutture di supporto, il personale… e in alcuni casi anche la volontà di far funzionare meglio il meccanismo.

Quanto alla legge in sé, (il cui anniversario non ci stancheremo di festeggiare come grande conquista di civiltà), non si può non notare come il meccanismo che regola la crisi del matrimonio sia decisamente datato e necessiti di una profonda revisione, come ha del resto ben evidenziato ancora oggi il collega Cesare Rimini.

E’ in particolare urgente, a mio giudizio, riconsiderare l’istituto della separazione, nel senso di abolirlo definitivamente (come inutile strascico di una relazione coniugale ormai esauritasi); o al massimo, renderlo facoltativo, esperibile nella sola ipotesi in cui entrambi i coniugi chiedano (davvero, in quel caso) un periodo di tempo in cui riflettere, vivendo lontani, sul loro matrimonio.

In quindici anni che seguo separazioni, per la verità, il numero totale di riconciliazioni di coppie già separate cui ho potuto assistere ammonta al glorioso ammontare di… una sola.


E  nel caso ve lo stiate domandando: dopo qualche anno, anch’essi si sono nuovamente separati.


L’amore è eterno finchè dura. Ma quanto dura un matrimonio?

Circolano (in rete e non) le idee più diverse sulla durata media di un matrimonio; l’idea di molti è che ormai duri davvero poco.

Le cose non stanno del tutto così, e a dircelo è l’ISTAT, che annualmente pubblica le statistiche relative all’andamento delle separazioni dei divorzi in Italia.

L’ultimo rapporto disponibile riguarda i dati 2007, e rileva perciò (anche) i primi dati consistenti sull’affido condiviso.

La durata media dei matrimoni è pari a 14 anni per quelli conclusi in separazione e a 17 anni per le unioni coniugali terminate con la sentenza di divorzio (il che è abbastanza ovvio, visto che tra separazione e divorzio debbono passare almeno tre anni).Il 26,5% delle coppie di coniugi separatisi nel 2007 era sposato da oltre 19 anni. Diminuiscono invece le unioni coniugali terminate in separazione prima del quinto anniversari(16,8%).

L’affidamento condiviso dei figli è stato applicato al 72,1% dei figli affidati nelle separazioni (era il 38,8% nel 2006).

All’atto della separazione i mariti hanno mediamente 44 anni e le mogli 41, mentre al divorzio rispettivamente 46 e 42 anni.

Chi vuole consultare i dati completi li trova qui.

PS: nonostante tutto, anche gli avvocati (noi compresi) continuano a sposarsi.